Autore della recensione: Francesca Manoni
Titolo: Orfani bianchi
Autore: Manzini Antonio
Editore: Chiarelettere
Argomento: Letteratura italiana
Anno: 2016, Pagine: 240
La storia
Mirta è una giovane moldava che si è trasferita a Roma per lavorare come badante.
Nel suo povero paesino ha lasciato il figlio dodicenne, Ilie, affidato alla nonna ma l’improvvisa morte di quest’ultima costringe Mirta a trovare un’altra sistemazione per il ragazzino, con l’intento di mettere da parte dei soldi per portarlo poi con sé.
L’unica soluzione è affidare Ilie ad un internat, un orfanotrofio che ospita, per la maggior parte, orfani bianchi, cioè bambini come Ilie che, pur avendo almeno un genitore, vengono lasciati alle cure di altri nell’attesa di un futuro migliore.
L’internat in cui Mirta lascia il figlio è un luogo squallido e freddo ma la donna promette al figlio che sarà per poco e quando ritorna a Roma nelle sue lettere lo esorta ad aver coraggio e fiducia, la loro separazione sarà breve.
A Roma Mirta trova un nuovo lavoro come badante dell’anziana Eleonora, in una casa ricca e lussuosa.
Guardata con sospetto e con disprezzo dai datori di lavoro, umiliata dall’anziana di cui si prende cura, Mirta con determinazione sopporta tutto: è il pensiero del figlio lontano a sostenerla nella prospettiva di offrirgli un domani sereno.
Recensione
Con questo romanzo Manzini si mette alla prova con un’opera diversa da quelle che lo hanno reso famoso, cioè la serie di gialli con Rocco Schiavone.
“Orfani bianchi”, assolutamente lontano dagli schemi del poliziesco, racconta una storia di oggi, racconta una di quelle vite che ci passano accanto, a volte senza neanche sfiorare la nostra attenzione e la nostra sensibilità.
Mirta è una donna forte, coraggiosa, che lotta e che soffre così come soffrono gli anziani affidati alle sue cure, ad esempio Eleonora, della quale, pure nella ricchezza, i figli non si interessano.
In passato bellissima, ricca, famosa, nel presente incapace di gestire il proprio corpo, l’anziana vive anche lei una profonda sofferenza che la rende simile a Mirta perché il dolore, democraticamente, non si cura delle differenze di classe.
Sullo sfondo, gente che passa (italiani), che va a lavoro, prende la metro, porta a spasso il cane… allontanandosi con disprezzo da chi lascia la sua famiglia per prendersi cura delle nostre.
(Mi piace però ricordare quelle situazioni,che conosco, in cui la badante diventa una persona di famiglia, a cui va quel rispetto e quell’affetto che si manifestano per i propri familiari).
È un romanzo bellissimo per le indubbie doti dello scrittore, qui più evidenti rispetto alla serie di Schiavone, ma nello stesso tempo tragico e veramente angosciante anche perché oltre al dramma di Mirta non si deve dimenticare il dramma di chi resta, in questo caso Ilie, orfano bianco.
Non presente nella biblioteca scolastica dell'IIS Cuppari Salvati
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