Autore della recensione: Francesca Manoni

Titolo: Ritorno al Tibet

Autore: Harrer Heinrich

Editore: Oscar Mondatori

Argomento: Letteratura straniera

Anno: 1999, Pagine: 171


Autore
H. Harrer, vivente, alpinista austriaco, dopo la sua eccezionale esperienza, raccontata in “Sette anni in Tibet”, si è continuamente impegnato per la libertà di questa regione dell’Asia.


Recensione
Agli inizi del ’39, Harrer, alpinista austriaco, viene scelto per partecipare ad una importante spedizione nell’Himalaia,sul Nanga Parbat: i tentativi precedenti erano falliti così la spedizione, di cui fanno parte Harrer e Aufschnaiter,ha il compito di trovare una nuova via per scalare, eventualmente l’anno successivo, il Nanga Parbat.
La missione ha successo ma, vicino Karachu, in attesa di tornare in Europa, Harrer e gli altri vengono arrestati, allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Portati in un campo di prigionia inglese, Harrer e Aufschnaiter evadono e dopo quasi due anni arrivano a Lasha, la città proibita.
Tutto il Tibet era un paese proibito ma Lasha, la città santa, lo era in particolare.
Nonostante ciò, i tibetani accolgono e aiutano i due fuggiasci che, in breve, diventano amici dell’allora giovanissimo Dalai Lama e si integrano perfettamente nella comunità.
La vita, per i due europei, scorre felice a Lasha ma nel 1951 l’armata rossa cinese invade il Paese. Il Dalai Lama è costretto a fuggire, trovando ospitalità in India e con lui migliaia di tibetani. Oltre a questo, quasi tutti i templi e gli edifici sacri vengono distrutti, migliaia di monaci sono uccisi, funzionari vicini al Dalai Lama torturati e tenuti prigionieri per anni.
Di questi massacri e di questa devastazione Harrer, costretto a lasciare il suo amato “Paese della neve”, si è fatto testimone e portavoce in tutto il mondo, per questo , considerato dal governo di Pechino,”persona non gradita”, non gli è stato più permesso tornare in Tibet fino al 1982.
Intorno a questa data, infatti, il governo di Pechino aumenta, progressivamente, il numero dei turisti a cui è concesso visitare il Paese, allo scopo di arricchirsi con questa lucrosa attività.
Così, dopo trenta anni, Harrer, con tanta emozione, può tornare nel suo amato Tibet come turista, insieme sd un gruppo, seguito ma anche controllato da guide cinesi.
L’emozione dell’autore lascia, però, ben presto il posto ad un autentico dolore quando può, personalmente, constatare la distruzionee che i cinesi hanno attuato in questa lontana e affascinante parte del mondo.
Le stradine dove gli artigiani offrivano la loro merce sono scomparse lasciando il posto a supermercati cinesi, le case costruite con materiali naturali sono state sostituite da fatiscenti fabbricati di lamiere, i monaci sono quasi scomparsi, i tibetani non indossano le loro tradizionali e colorate stoffe ma, tutti uguali, casacca e pantaloni cinesi.
Lo scempio continua con molti splendidi edifici sacri di cui sono rimaste solo rovine.
Harrer ha modo di incontrare vecchi e cari amici che gli raccontano di quanti non siano riusciti a salvarsi dalle persecuzioni e dai “lavaggi del cervello” dei cinesi che, nella loro volontà di modernizzare il Tibet, ne hanno, in realtà, distrutto l’anima.
Harrer, come alcuni suoi amici tibetani, sapeva che il Tibet aveva bisogno di riforme: ne aveva discusso con il Dalai Lama durante i sette anni trascorsi nella regione ma queste riforme dovevano partire dall’interno, mediando l’innovazione con la tradizione, conservando come bene prezioso quella spiritualità che è molto intensa sul tetto del mondo.
I cinesi, con prepotenza, invece, hanno imposto il loro materialismo( la religione è l’oppio dei popoli) e con logica imperialistica hanno assoggettato e reso schiavi i tibetani, nell’indifferenza del mondo occidentale che, mentre si erge a difensore di valori e diritti, è pronto a calpestarli, in questo caso per non perdere un prezioso partner commerciale come la Cina.
Nonostante la diaspora del Dalai Lama, la sua sacralità e il suo carisma non sono sminuiti. Infatti Harrer nota che , nascostamente, molti tibetani hanno sue immagini e anche quelli sparsi per il mondo hanno, nella maggior parte, mantenuto la fede nella quattordicesima incarnazione del Buddha, insignito nel 1989 del Premio Nobel per la pace.


Presente nella biblioteca scolastica dell'IIS Cuppari Salvati


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