Autore della recensione: Francesca Manoni

Titolo: Dispacci dalla Cambogia

Autore: Terzani Tiziano

Editore: Longanesi

Argomento: Attualità e politica

Anno: 2008, Pagine: 366


Autore
T.Terzani, fiorentino, è stato per 30 anni corrispondente in Asia per un noto settimanale tedesco e poi collaboratore della Repubblica e del Corriere della sera. È vissuto per molti anni in India, per lo più nell’Himalaya. È morto nell’estate del 2004.


Recensione
A quasi quattro anni dalla sua morte, esce questo nuovo libro che porta la firma del grande giornalista: si tratta di articoli scritti da Terzani per i giornali di cui era corrispondente dalla Cambogia a partire dal 1973 fino al 1993.
Questi articoli, alcuni dei quali inediti, sono stati raccolti e ordinati dalla moglie, Angela Terzani Staude, autrice di un lungo scritto di prefazione che non solo chiarisce le tragiche vicende storico-politiche cambogiane, ma anche il profondo legame di Terzani con questo infelice e bellissimo Paese.
Nel 1973 il giornalista è a Phnom Penh: i khmer rossi continuano con le loro offensive contro il governo e gli USA rispondono con bombardamenti che, indiscriminatamente, colpiscono obbiettivi militari e civili.
Nell’agosto dello stesso anno, il Congresso americano, di fronte ai costi elevati e alla possibilità, quasi certa, di un fallimento, ordina di interrompere le azioni militari in Cambogia.
Ma i khmer rossi, attesi con simpatia dalla popolazione, ostile al governo di Lon Nol, e con un atteggiamento di solidarietà da Terzani, spinto in Asia dal sogno socialista, entrano a Phnom Penh solo due anni dopo, nel 1975.
Tiziano si trova a Bangkok e deve ascoltare le notizie per radio, molto dispiaciuto per non aver potuto assistere all’evento.
Si reca allora a Poipet, prima cittadina cambogiana dopo il confine con la Thailandia, e fa il suo primo incontro con un adolescente Khmer rosso che vorrebbe ucciderlo, avendolo scambiato per una spia americana.
Nonostante la paura, Tiziano ritorna in Thailandia con un sorriso di simpatia per quel giovanissimo guerrigliero che, insieme ad altri, lotta per realizzare una società più giusta.
Dopo la presa del potere da parte dei khmer rossi, “una cortina di silenzio scende sul paese”, che mantiene contatti solo con la Cina, ma i racconti dei profughi, che riescono a fuggire dalla Cambogia, sono raccapriccianti: esecuzioni di massa, lager, dove si uccide con il bastone per risparmiare pallottole, torture e violenze che non risparmiano nessuno.
Il giornalista, che non vuol credere al fallimento del progetto socialista di Pol Pot, si chiede se le notizie non siano ingigantite dalla propaganda anticomunista, ma i racconti di stragi efferate sono troppo frequenti e troppo simili per lasciare dubbi sulla loro veridicità.
La Cambogia di Pol Pot è “il paese dei morti che camminano”, dice un profugo.
Non è l’intervento dell’ONU che pone fine al massacro ma del Vietnam, paese socialista allineato con l’URSS e non con la Cina,come la Cambogia: nel 1979 Phnom Penh cade in mano agli eserciti formati da “ribelli” cambogiani e truppe di Hanoi.
Pol Pot, comunque riconosciuto come governante della Cambogia anche dall’ONU, si rifugia nella giungla da cui, per anni, organizzerà azioni di violenta guerriglia.
Nello stesso anno (1979) Tiziano torna a Poipet ma quella che era una ridente cittadina è un deserto, come il resto della Cambogia, visto che il regime di Pol Pot ha portato alla morte , per esecuzioni o per fame, i due terzi della popolazione.
Dai numerosi articoli scritti tra il 1979 e il 1980, emerge il profondo dolore del giornalista di fronte alla consapevolezza dell’olocausto cambogiano: fosse comuni sono scoperte un po’ dovunque e i racconti dei sopravvissuti sono terribili.
Il popolo cambogiano è stato così duramente provato che, pur senza Pol Pot, gli uomini vedono ancora i fantasmi delle torture e del terrore mentre i poveri morti sono anch’essi fantasmi, anime vaganti in cerca di pace.
“Ci siamo sbagliati”,ammette Terzani, ma non tutti, anche nella sinistra italiana, apprezzano e condividono la sua onestà ideologica.
La politica di Pol Pot, spiega il giornalista, non può essere semplicemente liquidata come “pura follia” , ma è l’attuazione di un progetto ben preciso e non nuovo nella storia dell’uomo ( basti pensare a Robespierre): il dittatore cambogiano voleva creare una società nuova, che non avesse alcun punto di riferimento con il passato.
Per attuare questo progetto, Pol Pot utilizzò la scorciatoia di eliminare tutto quello che era vecchio: questo significò distruggere chiese, pagode, biblioteche…e uccidere insegnanti, intellettuali…insieme a tutti quelli che, in qualche modo, del vecchio potevano conservare memoria.
Su tutto questo Terzani riflette e di tutto questo ha le prove sotto ai suoi occhi, dopo il suo ritorno in Cambogia, ma il suo rigore morale e il suo desiderio di giustizia lo portano anche ad altre amare considerazioni.
La Cina aveva, all’epoca di Pol Pot, circa 20.000 consiglieri in Cambogia che, certamente, sapevano e vedevano; dopo l’accordo di Pattaya del 1991 (le truppe di Hanoi si ritirano nel 1989) mentre Pol Pot continua a dirigere una guerriglia contro la Cambogia che ogni anno fa migliaia di vittime, i dirigenti khmer rossi rientrano, in giacca e cravatta, nel loro paese,, che hanno tanto crudelmente offeso, senza pagare per i crimini commessi.
Queste immoralità, queste ingiustizie, offendono profondamente Terzani che non riesce a rassegnarsi di fronte all’egoismo e alla cecità che muovono la storia: solo il mitico “sorriso khmer” di un tranquillo Buddha ha il potere di rasserenarlo e, soprattutto, i resti di Angkor in cui sono intatti i semi della grandezza umana. Egli spera che, forse, “Da quei semi, in qualche modo, da qualche altra parte, continuerà a germogliare una vita che aspira al GRANDE”.

Presente nella biblioteca Fornace di Moie.


Non presente nella biblioteca scolastica dell'IIS Cuppari Salvati


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