Autore della recensione: Francesca Manoni
Titolo: Caracreatura
Autore: Roveredo Pino
Editore: Bompiani
Argomento: Letteratura italiana
Anno: 2007, Pagine: 246
Autore
L’autore e’ nato nel 1954 a Trieste da una modesta famiglia di artigiani. Dopo varie esperienze ha lavorato per anni in fabbrica. Scrittore e giornalista,fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate.
La storia
Marina è una donna di cinquanta anni di modesta condizione sociale.
Ha vissuto un’adolescenza difficile: la madre, perso il marito, si era risposata con un uomo severo e lascivo. Poi Marina incontra l’ amore della sua vita, Federico, un uomo taciturno ma onesto e buono.
L’unione è rallegrata dalla nascita di un solo amatissimo figlio: Gianluca, sul quale si riversano la gioia, l’amore e le attenzioni di Marina, insieme all’affetto premuroso, anche se silenzioso, del padre.
All’età di 17 anni, Gianluca viene sorpreso dai genitori a fumare qualche spinello: "errori dell’età", "non lo farò più", "è tutto a posto, mamma".
In realtà non è così: dagli spinelli Gianluca passa a sostanze più pesanti e in dosi più massicce.
Questo comporta necessità di denaro, implica un modesto profitto a scuola, una presenza saltuaria in casa: intanto Federico si ammala di una malattia incurabile e ben presto Marina si ritrova sola, con modeste risorse economiche, e un figlio tossico.
Sono inutili le sedute al Sert, come lo sono tutte le ricerche di Marina nel buio della notte per riportare a casa il figlio, abbandonato, certamente "fatto", in qualche tugurio fuori mano.
Fino a che Marina, per salvare il figlio, lo denuncia, insieme ai suoi complici, sicura di poterlo poi aiutare, in qualche modo, durante il processo, con i migliori avvocati.
Il figlio non vuole più vedere la madre: "per lei, lui è morto", le manda a dire.
A quel punto, Marina, senza più scopi per vivere, specialmente dopo la condanna di Gianluca, si lascia andare senza più alcuna cura di se stessa fino a che, un giorno, una lettera le restituisce la voglia di vivere.
Recensione
Come già in "Capriole in salita", l’autore affronta un tema tristemente quotidiano, la tossicodipendenza, e lo fa in un modo tutto suo, senza sociologismi, senza analisi psicologiche, senza prediche né enfasi ma raccontando, dal di dentro, la sofferenza di una madre che assiste, impotente pur nei suoi sforzi, al vortice che trascina alla deriva il figlio.
La protagonista, Marina, non ha statura epica né eroica, non è una madre coraggio, non è questo che vuol dire l’autore, perché non c’è proprio niente di epico né di eroico nella tragedia della dipendenza, queste sono storie di quotidiana sofferenza e di giornaliera tristezza.
Marina è una donna come tante, che ama suo figlio, che si dispera e lotta per lui e con lui fino ad abbandonarsi al nulla quando vede che non ci sono speranze.
Però, come nell’altro romanzo, Roveredo ci presenta una possibilità di riscatto: l’amore della madre, è quella la carta vincente, come, effettivamente, lo è per tante storie della vita di tutti i giorni, peccato, però, che non tutte, nella realtà, siano a lieto fine.
E’ un romanzo molto bello, che commuove, grazie all’uso di una scrittura molto particolare, ricca di metafore e di accostamenti lessicali originali ma spontanei, non è uno stile costruito, quello dell’autore, la sofferenza è palpabile e trascina, in questo mare di dolore, anche chi legge.
Non presente nella biblioteca scolastica dell'IIS Cuppari Salvati
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