Autore della recensione: Francesca Manoni

Titolo: Il momento di uccidere

Autore: Grisham Jhon

Editore: Mondadori

Argomento: Giallo

Anno: 1992, Pagine: 501


La storia
Alla periferia di Clanton (Mississippi) due giovani balordi bianchi violentano e picchiano ripetutamente una bambina nera di 10 anni, Tonya, abbandonata poi esanime dai due ragazzi, annebbiati dalla droga e dall’alcol.
La bambina è in condizioni gravissime ma sopravvive, purtroppo segnata per sempre dalla terribile esperienza.
Lo sceriffo, anche grazie alle poche indicazioni che Tonya è in grado di fornire, individua subito i colpevoli e li arresta.
Le prove contro di loro sono schiaccianti quindi li attende un processo e, certamente, una condanna ma Carl Lee, il padre di Tonya, non ha intenzione di aspettare la giustizia dello stato e intende farla da sé, uccidendo, all’uscita dal tribunale, di fronte a molti testimoni, i due violentatori.
Carl Lee viene subito arrestato per omicidio volontario e per questa accusa verrà processato ma il suo caso suscita molto interesse negli USA e infiamma l’opinione pubblica: per alcuni Carl Lee è il padre disperato che ha eliminato dalla società due malvagi individui, evitando altre vittime, per altri non è accettabile farsi giustizia da sé, specialmente se il giustiziere è un nero, in uno stato in cui sono ancora forti le tensioni razziali.
Carl Lee affida la sua difesa ad un giovane avvocato bianco, Jake Brigance: egli sostiene che il suo assistito non può essere condannato per un gesto nato da una giustificabile disperazione ma è spinto ad accettare il caso anche dalla fama che un tale processo potrebbe offrirgli in caso di assoluzione, risultato che, viste le caratteristiche della giuria, non è per niente scontato.


Recensione
La vicenda narrata in questo legal thriller è sicuramente interessante in quanto presenta problematiche che fanno riflettere.
La violenza sui bambini è terribile e il comportamento del padre nel romanzo può apparire, a prima vista come, se non altro, il più immediato e istintivo.
Certo è che in uno stato di diritto non è pensabile che una persona possa farsi giustizia da sé: la società diventerebbe una giungla dominata dalla legge del taglione.
In alcuni stati degli USA, come il Mississippi, è però in vigore la pena capitale per reati come quello commesso da Carl Lee: sarebbe giusto infliggergliela?
C’è poi anche da interrogarsi sulla legittimità della pena di morte ma su questo argomento la discussione sarebbe infinita!
La storia è inserita in un contesto in cui ancora non è scomparso il razzismo: l’autore, infatti, più volte sottolinea il fatto che se Carl Lee fosse stato bianco e i due aggressori neri, certamente non sarebbe stato neanche citato in giudizio.
Durante il processo, inoltre, entra in azione anche il Ku Klux Klan ed è veramente assurdo che in epoca contemporanea gruppi del genere non siano considerati illegali.
Quindi il romanzo presenta aspetti decisamente coinvolgenti ma dal punto di vista narrativo ha diversi punti deboli con passaggi poco coerenti e lo stesso protagonista, Jake Brigance, l’avvocato difensore di Carl Lee, non suscita quella simpatia che sicuramente vorrebbe l’autore.


Non presente nella biblioteca scolastica dell'IIS Cuppari Salvati


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